Alle ventitré in punto, come ormai sua consuetudine, cercò di chiudere gli occhi, provando a dimenticare la giornata terribilmente calda appena trascorsa. Ma, nelle ore seguenti, un pungente freschetto gli arricciò la pelle, costringendolo a lottare con sua moglie per un lembo di coperta in più addosso.
La notte non fu altro che un andirivieni di sonno, una porta che infastidisce, cigolando, aprendosi e chiudendosi di continuo. Molesta, proprio come il ritorno, con le prime luci del mattino, di quel calore anomalo che gli surriscaldava le punte dei piedi e li spingeva per ore alla ricerca di una posa meno claustrofobica.
Cosicché, pregava che il cielo facesse presto mattino, distrutto com’era da quella scomposta dormiveglia. Il trillo della sveglia gli apparve molto più sclerotico del normale e, girandosi intorno, credette di essere sdraiato su di una tovaglia larga quanto un campo da calcio.
Sotto i suoi occhi, spuntava un enorme fuscello appuntito come una matita, ondulante al minimo movimento del capo. Capì, esterrefatto, di essersi risvegliato in un corpo che non era il suo.
Dietro la schiena aveva due fogli di carta velina stropicciata perfettamente simmetrici, simili ai poggia naso dei suoi occhialoni da sole. E inarcando quelle che dovevano essere le sue scapole, quelle ali cominciarono a sbattere neanche avesse azionato uno starter.
Planò quindi sullo specchio di fronte al letto e capì in cosa si era trasformato e di quanto si fosse sbagliato sul conto delle zanzare. Erano infatti molto più orribili di come immaginava e di quanto l’occhio umano potesse vederle.
C’era una smodata sproporzione tra gli occhi e la testolina, tanta da farle sembrare due palle da biliardo incollate su una da ping-pong. E quante paia di gambe sottili e irsute come peli di barba poteva contare!
Che gran pasticcio. Si era reincarnato proprio nel genere di insetto della peggior fama. Il più disprezzato, odiato e forse anche il più cacciato in assoluto.
Ma essere così minuscoli, poteva avere anche dei vantaggi. Ad esempio, spiare i vicini di casa. Grazie a quel corpicino sottile e stilizzato come un disegno a punta fine, superò la porta chiusa. Del resto, adesso ogni spiffero era per lui un portone spalancato.
Fuori c’era un bel sole e vide un gruppo di suoi simili schiamazzare nuotando allegramente nella loro vasca da bagno preferita: un vecchio pneumatico carico di acqua imputridita.
Atterrò sul davanzale della finestra della casa di fronte. Le strette maglie della zanzariera lo dividevano dalla cucina dove la donna di casa era impegnata a preparare il sugo per il pranzo, impedendogli pertanto di ficcare il naso a distanze più ravvicinate.
Da ex umano, adesso poteva spogliarsi del minimo scetticismo riguardo l’efficacia di quelle sante tessiture in metallo. Non appena la moglie del vicino aprì la porta per far uscire il gatto, mosquito-man penetrò lesto nell’appartamento.
Il dono dell’invisibilità, o quasi, può regalare davvero grandi sorprese. Come scoprire una improbabile militanza calcistica sconfessata da una sfavillante sciarpa da stadio appesa sul guardaroba.
Intanto un rumore d’auto, proveniente dall’esterno, attirò l’attenzione dell’infimo intruso. Era sua moglie di ritorno dalle compere mattiniere. Accese i reattori sulla schiena e volò da lei, sicuro del fatto che, conciato in quel modo, non l’avrebbe mai riconosciuto.
E certamente lui non avrebbe neanche fatto in tempo a spiegargli tutta la storia prima di finire spiattellato sul tavolo.
Si acquattò quindi in mezzo al portafrutta, sdraiato tra le bucce gialle e profumate delle mele. Squillò il telefono e le antenne, cioè le sue attuali orecchie, si irrigidirono come il periscopio di un sommergibile pronte per intercettare i dialoghi.
Aveva forse un amante? No, era un tentativo di televendita contro il quale protestava dopo nemmeno un minuto di conversazione.
Si sentì quindi sollevato e, a questo punto della giornata, anche un po’ affamato. Le sue capacità di pensiero erano rimaste intatte e, dopo un’attenta riflessione, comprese di essere finito nel corpo di una zanzara di sesso femminile.
Quindi biologicamente parlando, proprio nella fattispecie carnivora responsabile delle fastidiosissime punture. Fosse rimasto un maschio, avrebbe fatto invece parte della variante ad alimentazione “vegetariana”.
Una deduzione derivata da una voglia di mangiare proprio strana. Più che una normale fame di cibo, la sua era una sete molto particolare. Gli veniva l’acquolina pensando a boccali colmi di sangue e non della bionda birra del sabato al pub.
Provava un’attrazione irresistibile verso la moglie, che tutto era tranne che sessuale. Questa volta cambiava il fine e non il mezzo. Del resto, se vogliamo, il pungiglione l’aveva anche da homo sapiens sapiens.
L’amata casalinga, dopo il pasto, si lasciò cadere sul divano sprofondando nel sonno mentre la TV trasmetteva incurante le sue noiose soap opera da primo pomeriggio.
Un sonnellino anche piuttosto fragoroso. Ma è assodato che le pennichelle pomeridiane somiglino molto ai forti ma brevi temporali estivi. Quindi colse l’attimo propizio e si lanciò all’attacco prima di finire applaudito tra due mani.
Che odore di saporito facevano le carni rosee della sua donna. Si poggiò sulle gote bianche e scelse la zona più tenera dove affondare la sua proboscide affilata, proprio come una forchetta nella bistecca. Tracannò sangue fresco fin quando si sentì sazio e poi filò dritto a nascondersi in camera sotto le lenzuola, sicuro che di lì a poco il prurito l’avrebbe risvegliata.
Non tardarono le imprecazioni e improperi contro il maledetto insetto autore del misfatto che lui udì appostato in un angolo alto della camera, dove forse sarebbe scampato più facilmente ad un tentativo di omicidio.
Ma una delle zampe s’impigliò nella tela di un ragno che, con la foga di un bulldozer, prese la rincorsa verso di lui. Per fortuna, tranciò di netto l’infida matassa col suo becco aguzzo e scappò verso la parete opposta.
Ma, a conti fatti, non c’era un posto dove poteva dirsi veramente tranquillo. Aveva piena coscienza di essere perseguito e perseguitato in ogni momento del giorno dall’essere vivente più piccolo fino a quello più grande.
Quando sarebbe tornato umano, non si sarebbe più lamentato della vita che conduceva. Fare la zanzara era il mestiere più pericoloso del mondo.
Tratto da un mio lavoro fatto per un esercizio di scrittura qualche mese fa.
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