ETIMOLOGIA UFFICIALE E IPOTIZZATA
Cosa sarà mai la “dozza”? Mi domando questo, quando mi trovo di fronte al cartello stradale che annuncia questa località. Fonicamente suona piuttosto grezzo e potrebbe trattarsi di un arnese da campo visto il contesto rurale in cui ci troviamo. Chissà che non sia un tipo di pala per spostare il prezioso grano che imbiondisce queste terre.
Invece Dozza è il nome di uno tra i più bei borghi italiani, a sud di Imola, nel bolognese, segnaposto geografico tra Emilia e Romagna. Ed in effetti qualcosa a che vedere con l’agricoltura c'era, visto che la sua toponimia trae origini dal latino “Dutie”, l’equivalente di “doccia”. Etimologicamente indica infatti una canalizzazione che abbeverava queste terre un tempo molto assetate.
INDICAZIONI GEOGRAFICHE
Dozza sorge in quella valle dove hanno da poco ripreso a rombare i motori che contano, su quell’asfalto liscio come un panno da biliardo d’asfalto che si annovera tra i massimi palcoscenici mondiali di Formula Uno. Ma non è solo per le sgasate dei piloti più forti del mondo che questi luoghi sono conosciuti..
Approfittando magari del sacro riposo domenicale, quando la primavera c’è dentro a pieno titolo, un salto qui, nella pace dei dolci pendii imolesi, può rappresentare una piacevolissima occasione di svago. Basta una leggera deviazione dalla grossa arteria A14, uscita Castel San Pietro Terme, per raggiungere l’incantevole paesino dove, oltretutto, si respira anche una storia intrisa di antiche aristocrazie e nobiltà.
CENNI DI URBANISTICA
Dozza è impostata secondo i canoni del vecchio “fuso di acropoli”, modello urbanistico di remota creazione che imprime all’abitato una forma ovoidale stretta ai fianchi che si estende sulla parte piana del rilievo collinare. Nella piazza madre, dove è poi ospitata l’eminenza architettonica del luogo, convergono tutte le principali strade del borgo.
Ci riferiamo alla famosa Rocca Sforzesca, protagonista indiscussa tra le costruzioni, che abbiamo avuto il piacere di visitare e alla quale si può accedere attraversando un ponte levatoio, proprio come nelle migliori fiabe.
BREVE STORIA DELLA ROCCA
Il forte è gremito di visitatori, gitanti accompagnati da guide e famigliole con pargoli al seguito. Non esiste certezza matematica sulla data di costruzione di questo antico maniero. Sicuramente il nucleo vide la luce nell’era imperiale romana, installato a mo’ di “castrum” per la difesa dalle orde barbariche. La fortezza si suppone invece sia stata eretta per la prima volta nel Duecento. “Prima volta”, proprio per sottolineare che, nel corso dei secoli, la struttura sarà spesso ricostruita e distrutta.
Purtroppo erano epoche politicamente turbolente durante le quali il Bel Paese era fortemente instabile e frammentato in mille campanili, sovente in guerra tra di loro. D’altro canto, il prestigioso eremo faceva gola per la sua posizione di crocevia tra la Romagna papalina e la Bologna dei ducati. Fu quando, nel Settecento, passando sotto le prestigiose insegne degli Sforza di Milano, che conobbe finalmente un periodo di stabilità. Girolamo prima e Caterina dopo, avviarono preziosi interventi che resero la rocca ben protetta da attacchi esterni.
I LIVELLI E GLI INTERNI
Questo gioiello di pietra è stato testimone di epoche anche molto lontane tra loro e con i secoli ha cambiato pelle, passando da castello a fortilizio militare fino a divenire residenza nobiliare. E’ per questo motivo che il visitatore ha l’opportunità di cogliere fattezze strutturali ora rinascimentali ora medievali. Ad ogni modo, tutti i particolari sono ben illustrati attraverso esaurienti didascalie.
Abbiamo potuto apprezzare una scena quasi congelata nei secoli: lo studiolo perfettamente conservato con penna, calamaio e un libro aperto sul tavolino. Una scena quasi “viva” che ci ha quasi fatto spontaneamente pensare che il nobile si fosse solo temporaneamente allontanato per una boccata d’aria e sarebbe tornato di lì a poco.
Un appendiabiti fa sfoggia di costumi del tempo e, al pianterreno, siamo colpiti dalla sala da pranzo, integra in ogni arredo, con batteria di pentole al gran completo, il tavolaccio, il camino a uso forno, nonché il ferro da stiro a caldaia a carbone.
Luoghi di convivio per i piaceri del palato che purtroppo abbandoniamo per visitare anfratti più cupi. Ci riferiamo alle prigioni, che può tristemente vantare ogni castello che si rispetti. Sono ancora visibili i “graffiti” sui muri, incisi dagli sfortunati “ospiti” di queste galere e, giù di un altro livello, un ulteriore vano per l’isolamento dei rei di colpe più gravi.
Una strettissima scalinata ci conduce sul tetto della sorella maggiore delle torri dove viviamo un’esperienza medievale unica tra camminamenti, scale a chiocciola, feritoie dalle quali un tempo si scagliavano frecce, caditoie e merletti. Il mastio ci offre una sublime panoramica ad angolo giro sulle verdeggianti colline intorno.
MISTERI E LEGGENDE
Ma queste mura spesse e forti, celano anche un segreto, una di quelle terribili leggende che quasi sempre serpeggiano in questo genere di posti. Intorno all’anno 1062, Cassiano Oroboni, coraggioso avventuriero a capo di un drappello di uomini, decide di affrontare e distruggere una volta per tutte uno spaventoso rettile che depreda la valle di bestiame e avvelena le sue acque. Ma Fyrstan, è questo il nome dello spaventoso drago, ha la scorza più dura dell’acciaio degli strali che tentano di trafiggerlo e che lui rimbalza ai mittenti. Secondo i racconti, fu San Basilio, con metodi più ortodossi, a porre fine alla vita della spaventosa creatura che ora riposa beata in una cella del castello.
Termina qui il nostro viaggio nelle stanze della fortezza, ma il piccolo borgo non ha ancora finito di stupirci con i muri delle case tappezzati dai dipinti dei migliori artisti della corrente “street art” che deliziano il turista in ogni vicolo.
Anche questo grazioso gioiello italiano avrà il suo posto nel nostro cuore.
Kommentare