«Chissà dove hai letto questo nome. E chissà su quali siti navighi. È uno scherzo, vero? »
Forse più di una persona ha reagito in questo modo quando qualcuno, probabilmente anche con una punta d’imbarazzo, ha proposto una visita a “Punta della Suina”.
Un’ambiguità che suona di “proposta indecente” o di luogo peccaminoso o magari ancora di super cazzola alla quale può abboccare solo un ingenuo navigatore di siti web. Ma, in fin dei conti, potrebbe semplicemente indicare una locale squisitezza gastronomica.
Insomma, piaceri della carne o della gola? Niente di tutto ciò.
Tra il vasto repertorio di paradisi, questo è uno dei più noti angoli di Salento sul quale, la spesso estrosa nomenclatura popolare, ha attaccato questa originalissima etichetta.
Premesse a parte, dopo aver largamente tributato l'aguzzo scoglioso litorale adriatico di scampoli della nostra pelle, è ora di sdraiare i nostri corpi sbucciati su terreni più morbidi.
Seghiamo quindi il Tacco Italiano da est verso ovest, in direzione dei lidi ionici, spaccando la rocciosa e solitaria campagna salentina ingiallita dall’estate. A cavallo della superstrada 361 che in 40 chilometri ci porterà a Gallipoli, va in scena una natura sfiancata dal tormento di caldi africani. Erba grigliata dal sole, gruzzoli di pietra conficcati nella terra rossa come denti rotti, masserie sperse e le inconfondibili e rudimentali caseddhre circondate dagli intramontabili muretti a secco.
Di tanto in tanto, indicazioni blu rimandano ai vari paesotti lungo lo stradone. Poi i cartelli d’improvviso si tingono di marrone e possiamo leggere i nomi dei paradisi verso i quali punta la loro freccia.
Ora la Città Bella spunta in lontananza distesa sul fianco come una bella sirena sulle sabbie e il suo porto allungato nel mare come un dito che invita il passante ad una sosta per un bagno.
Le nostre ruote sono ancora poggiate sulla catramosa litoranea che fiancheggia la pineta prima di sterzare sulle polverose strade verso i parcheggi. Poi avanziamo a piedi sui molli materassi d’aghi cascati dalle chiome dei pini marittimi imponenti come immensi sombreri.
Ancora un manipolo di dune come groppe di cammelli acquattati, ci oscurano il mare di Punta della Suina.
Adesso abbiamo di fronte il motivo di questo buffo nome che, da buoni internauti quali siamo, avevamo già scoperto: affiora dalle acque un isolotto simile ad un cetaceo pietrificato e il sottile fil di terraferma che lo lega al resto della spiaggia, pare ne sia l’origine.
Rimaniamo perplessi perché la “Suina” era per noi altra cosa e il rebus rimane insoluto. Ma non abbiamo più tempo per gli arcani, solo tanta voglia di immergerci in queste magnifiche acque.
Il contesto è un richiamo irresistibile fatto di colori difficilmente ripetibili. Le sponde di sabbia bianca baciate da questo pezzo di Ionio cellofanato da una meravigliosa scala di blu appaiati ma dai gradienti spiccanti, impattanti come guidare passando improvvisamente dalla quinta alla prima.
Questo ci riserva Punta della Suina, che docile ci accoglie nelle sue profondità ad altezze scientemente graduate, dove nulla ha da temere il bagnante quando i suoi piedi rimangono sospesi, ma continua comunque a vedere dove li avrebbe appoggiati.
D’improvviso, da dietro piccoli cirri addormentati nel cielo, un lampo di sole pizzica l’acqua. La ravviva, l’accende e le viscere marine si illuminano diventando fluorescenti. Il fondale è’ un lenzuolo bianco sorvolato da ordinati battaglioni di pesci rotondi in eleganti squame come giacche militari, in marcia verso le loro tane, gruviere di roccia muschiata adagiate sul fondo.
Un appagamento sensoriale totale. Ancora non comprendiamo il motivo del bizzarro nome di questo posto e sinceramente neanche dove ci troviamo.
Per un motivo o per l'altro, sarà comunque difficile da dimenticare
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