Si torna in Toscana, in quello che dalla vicina Emilia Romagna, spesso rappresenta il posto ideale e a portata di mano per una pausa dalla solita routine.
Spesso addirittura un "toccasana" per lo spirito e la mente, viste le gradevoli scoperte che questa terra ci regala ogni volta. E non stupisce che questa regione, culla d’arte e bei paesaggi, sia stata molte volte presa a simbolo nazionale in tutto il mondo.
Sebbene stavolta non siano state propriamente di piacere le motivazioni che ci hanno mosso per questo breve soggiorno, questo pezzo d’Italia ha trovato comunque il modo di coccolarci con le sue bellezze.
Qualcuno disse che la bellezza è negli occhi di chi guarda. Ammesso che facciano bene il loro dovere. Altrimenti, autoctoni professionisti dell’oculistica sapranno mettere sapientemente mano ai vostri cristallini difettosi che, come per miracolo, sapranno metter meglio a fuoco questi luoghi di “cristallina”, appunto, bellezza. E adesso abbiamo svelato il motivo di questo viaggio.
Spacchiamo per direttissima l’Appennino che divide Bologna da Firenze e sbuchiamo a Poggibonsi. Fino a questo momento, complice l’ignominia entro cui spesso cadono certi paesi dagli strani nomi, avevamo pensato che Poggibonsi fosse solo un appellativo di fantasia generato ad hoc per indicare una qualche remota e sperduta località.
Qualche conoscente ha addirittura ridacchiato, canticchiando il ritornello di un motivetto pubblicitario dalle parole fin troppo simili.
Forse non susciterebbe tutta questa ilarità se non avesse cambiato il primo nome col quale questo nucleo del senese di 30000 abitanti fu consegnato alla storia. Le prime notizie del fu “Poggiobonizio” si hanno intorno al 1155, mentre le ultime purtroppo nel 1270, anno in cui fu devastato dai Francesi su commissione dei Fiorentini dietro lauto compenso in fiorini dell’epoca. Firenze percepiva infatti questa prosperosa cittadina come un intralcio alle proprie mire egemoniche.
Scamparono all’assedio solo le classi elitarie del Poggio, mentre gli sfollati tra le fasce deboli della popolazione furono obbligati a trasferirsi a valle in località “Marturi”, rinominata poi “Poggibonsi” a ricordo del nucleo originario.
L’attuale insediamento è sede di un vivace tessuto commerciale favorito in primis da una posizione vantaggiosa che lo pone a crocevia tra Val d’Elsa, via Francigena, colline del Chianti e a metà strada tra Siena e il capoluogo toscano.
Il cuore storico del borgo non ci ha particolarmente impressionati, ma spostandoci appena di qualche chilometro abbiamo avuto ragione di ricrederci.
“Va dove ti porta il cuore”, recitava un vecchio adagio. Il manuale del buon turista suggerisce invece “Va dove ti portano i cartelli marroni”. Seguendone uno, ci ritroviamo in un meraviglioso parco urbano sviluppato in pendenza e abbellito da prati ben rasati, panchine e una piscinetta dove nuota serenamente una colonia di simpatiche tartarughe. Davvero l’ideale farci una passeggiata o meglio ancora, un training per spingere al massimo i polpacci.
Attira la nostra attenzione un cartello che indica “Fontana delle Fate” che ci conduce in uno scenario che somiglia vagamente a quello del famoso film “Jumanji” o addirittura del videogioco “Tomb Raider” per i più nerd. Le sembianze sono quelle di un’antica stazione termale, con cordone di scale ai lati e perimetro di portici che sfumano nel verde di una fitta boscaglia. La struttura è abbondantemente intaccata da verderame e, combinata al motivetto simil-gospel che si attiva dal nulla, le conferisce quel tocco di tetro che non guasta. Costruita nel 1200, quest’opera ingegneristica studiata per la raccolta e convogliamento delle acque mediante sistemi di collettamento, è l’unica testimonianza superstite di ciò che fu Poggio Bonizio. La sua denominazione è dovuta alla comune credenza che luoghi umidi come questi fossero popolati da creature fantastiche.
Facciamo un altro balzo in altitudine e ci catapultiamo nel “Cassero”, importante fortificazione medicea eretta a difesa di un territorio tormentato in quegli anni da lotte e guerre varie. Le sue mura poderose corrono per un perimetro rettangolare di quasi 2 chilometri ai cui angoli sbocciano quattro bastioni, secondo lo schema pentagonale dell’epoca.
Anche se il tutto avrebbe dovuto contenere il nucleo abitato, non si registrò nessun residente al suo interno e, attualmente, se n'è ricavata una consistente area archeologica sopraelevata che domina i suggestivi colli circostanti e viene adibita allo svolgimento di manifestazioni e rappresentazioni.
Ma la vera chicca dei dintorni rimane San Gimignano a, venti minuti d’auto. Questo piccolo borgo nasce sulle dolci alture innervate dall’Elsa, immissario dell’Arno, che raggiungono in 600 m. s.l.m. la loro massima vetta. Ci appare per la prima volta, dal basso verso l’alto, come uno scrigno in pietra avvitato su un pendio alto 300 metri. È un gioiello che si pone esattamente all’intersezione tra la Via Francigena e il collegamento viario Pisa-Siena. Il suo primo mattone fu posato intorno al Mille, nel primordiale complesso di “Poggio di Montestaffoli”, l’area mercatale del tempo. Fu questo il principio della cinta muraria cittadina che poi ne verrà. Leggenda narra che il nome della città fu scelto nel IV sec., quando fu risparmiata alle truppe di Totila re dei Goti grazie all’apparizione divina di Gimignano, vescovo prima e santo poi, che un centennio prima nascose la sua Modena agli occhi del terribile Attila, celandola nelle nebbie che miracolosamente fece calare.
Questo centro del senese ebbe notevole importanza strategica e commerciale poiché collocato in modo da essere ben difendibile e in equidistanza dalle città che contavano allora, nel Medioevo, oltre ad essere un rinomato distretto di produzione del pregiato zafferano.
Un felice connubio di caratteri positivi che consentirono a San Gimignano di accrescere il suo benessere economico e diventare una sorta di Monte Carlo abitata da ricchi mercanti spesso in competizione tra loro. Gli strani metri di misura di potere e ricchezza erano, curiosamente e letteralmente, quelli dell’altezza delle torri che ogni famiglia costruiva per dimostrare la sua superiorità rispetto ad un’altra.
Finché questo divertente gioco delle costruzioni stufò il Comune che regolamentò il settore ponendo il limite massimo nell’altezza della torre del Potestà. Da quel momento in avanti, sorsero torri di uguale altezza.
Questa singolare sfida ha prodotto un preziosissimo lascito architettonico composto da ben 72 torri che ha fruttato al borgo toscano il titolo di “Manhattan Medievale” e l’ha laureata Sito UNESCO nel 1990. Purtroppo ad oggi ne sono rimaste in piedi solo 13.
L’epico “Non ci resta che piangere”, girato tra l’altro da queste parti, sembra la trama in cui ci siamo infilati mentre passeggiamo per le strade di San Gimignano. Tanto è perfetta la scenografia medievale nella quale siamo immersi, quasi da farci credere che la macchina con la quale siamo arrivati fosse quella del tempo.
Ci colpisce la netta differenza tra il ciottolato originario in parallelo a quello più recente prima di raggiungere Piazza Duomo. Accedendo su una rampa di scalini, riusciamo ad ammirarla in tutta la sua magnificenza e interezza. Il grande albero di Natale allestito al centro è sovrastato dalle antichissime torri che svettano intorno e dipingono un cielo unico e claustrofobico.
In mezzo a queste gigantesche stalattiti urbane corrono vicoli scavati tra la pietra viva color della sabbia e mattoni saggiamente incollati, tra fioriere e lanterne, tra arcate a regola di compasso, tra eleganti caffetterie e trattorie, tra le vetrine delle gastronomie che sembrano veri atelier del buon gusto.
Sarebbe un peccato imperdonabile non sfruttare l’occasione per degustare i sapori delle tradizioni locali. Così decidiamo per un piatto di “pici”, cugini degli “strozzapreti”, conditi con un delizioso ragù di suino di cinta senese, fauna autoctona che prolifera da tempi di etrusca memoria, che una cintura di pelo chiaro sulla parte anteriore contraddistingue da altre specie. Un amabile calice di “San Gimignano IGT” ci aiuta a meglio deglutire questi squisiti bocconi.
Ma c’è ancora un’altra piazza a stravolgere i nostri occhi. Al centro di una suggestiva cornice campeggia una splendida cisterna immacolata classe 1287, irsuta dai muschi dei secoli, con l’annessa ghiera di protezione e campana che al tempo scandiva i momenti dedicati al prelievo.
è l’ultimo confetto che questa travel experience ci ha regalato.
Oltre alla sua parte, qui l’occhio ha anche le sue cure.
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