Quando il mio turno di lavoro iniziava a pomeriggio, la sveglia del mattino puntata più avanti del solito pungente orario, mi scuoteva delicatamente dal sonno come fosse una leggera pacca sulla schiena. Quella mattina, dalla finestra della camera, un possente sole di primavera appeso su di un chiarissimo azzurro mi dava il suo sorridente buongiorno.
Le prestazioni dei miei recettori erano davvero in giornata e i miei sensi decisamente più performanti del solito. Con queste insolite chiavi di lettura, i soliti caffè, pane e marmellata traboccavano di una squisitezza fuori dall'ordinario. Per dirla in breve, un inizio di giornata dal sapore e sentore molto speciali.
Alcune decine di chilometri mi dividevano dal posto di lavoro, strade che conoscevo fino alla nausea e che, ormai, percepivo come pietanze insipide. Ma quel mattino, tutto mi appariva diverso
e anche quelle vie che ormai battevo da anni ogni giorno per recarmi in ufficio, mi sembrava di percorrerle per la prima volta.
Ero incredibilmente sintonizzato anche sulla stessa frequenza della radio che avevo acceso e che trasmetteva un esaltante motivo musicale in più per credere che quello era proprio un giorno speciale. Un pezzo rock tanto pimpante da divenire la decisiva goccia che mi fece debordare un’irrefrenabile voglia di evasione.
Per la prima volta, venne a galla questo mio lato pazzoide e avventuriero, grazie all’istinto che non diede retta al sermone del mio proverbiale raziocinio. E la pazzia venne così assecondata senza troppe domande. Telefonai al capo per avvisare di non attendermi in ufficio e concedermi qualche giorno di ferie necessario a concludere un’imperdibile trattativa per l’acquisto di un immobile. Richiesta accolta, ma non senza vari e vani tentativi di estorsione delle mie vere motivazioni.
Alla prima stazione di servizio feci incetta di gasolio, poi imboccai l’autostrada. Quando fui in prossimità dell'uscita verso dove andavo a lavorare, pigiai con vigore sull’acceleratore, quasi ad allontanarmi dalla normale routine delle mie giornate. E di sentirmi una volta tanto, un uomo libero da paure e auto sabotaggi.
In mente c’era solo la voglia di spingermi verso Ponente, dove avrei saziato la mia voglia di ascoltare e leggere parole in lingua diversa dalla mia. Avrei raggiunto lo scopo pur senza l’ombra di una valigia in baule, visto che non contemplavo nessuna premeditazione, ma piuttosto ero elettrizzato dal dover improvvisare un entusiasmante viatico fuori dall’ordinario.
Attraversai la piallata bassa emiliana e poi, al bivio, in alto tra le asperità boscate appenniniche fino al mare. Poi costeggiai il Mar Ligure e finalmente oltrepassato il confine italiano, mi ritrovai nella celebre Costa Azzurra di Francia. Lo stomaco si risvegliò al contrario delle mani provate dalla guida e così decisi di far tappa a Nizza. Lasciai il volante e mi incamminai sul pittoresco “Quais Des Etats Unis” popolato da altissime palme e caffè eleganti.
Qui consumai un acceso aperitivo a base alcolica unito ad un impasto di acciughe e olive della tradizione locale, non prima di un rifornimento di biancheria, pantaloni ed effetti personali un tanto al chilo da mercatini in strada.
Il bar fittava anche delle camere e, dopo averne fermata una, intrapresi la mia consueta camminata serale digestiva. Quante sorprese ci riserva la vita: la sera prima passeggiavo nel solito spento isolato dietro casa, mentre adesso ero sul famoso avenue di una delle località più trend del mondo.
Mi volevo regalare un momento di romanticismo e quindi salì sulla “Collina del Castello”, dove però del castello non c’era traccia ma, in compenso, un bellissimo parco affacciato su uno spettacolare panorama costiero.
Andai poi a dormire e la mattina seguente mi rimisi in marcia dopo un “petit dejeuner” a base di pane al cioccolato e una brutta copia dell’espresso italiano. Percorsi la “Corniche de L’Esterel”, un nastro di asfalto attorcigliato lungo roccioni dalle punte rotonde color della terra rossa, accatastati come mattoni su di un mare blu profondo.
Ora il mio obiettivo era cambiare ancora aria, voltare verso un altro Paese, un’altra lingua, un altro tutto. A Le Perthus, minuscolo abitato di qualche centinaio di anime incassato tra i Pirenei, il tricolore francese cedeva il passo alla Rojigualda di Spagna. Schivata Barcellona, tornai a costeggiare il mare delle Baleari, galoppando sulla “Costa del Azahar”, dalle rotte morbide e delicate incensate d’agrumi.
È l’ora della “comida” e faccio un pit-stop a Peniscola, meravigliosa sporgenza fortificata su acque cristalline. Una “siesta” a pancia in aria sulla sabbia bianca ai piedi dell’antico borgo e poi dritto a Valencia per due tapas e un bagno di folla nel movimentato rione “Barrio del Carmen”.
A fine serata mi fermai per la notte nel primo motel trovato per strada. Il giorno seguente, dopo una nutriente colazione a colpi di pane tostato e fette di jamon iberico, mi spingo alla volta di Malaga dove, giusto in tempo per pranzo, consumerò una gustosa paella in Plaza de la Merced.
Non era ancora finita la mia spedizione verso meridione, che imboccai la magnifica lunga striscia di sabbia tappezzata di case bianche stretta tra monti e mare: l’incantevole Costa del Sol. Arrivai a Tarifa, nel più sud dei sud del Vecchio Continente, dove Mediterraneo e Atlantico si stringono la mano. E mentre respiravo quell’intricato connubio di venti che sferzano nell’ultimo avamposto europeo, mi squillò il telefono.
Il capo non mi vide arrivare in ufficio e mi chiedeva preoccupato cosa mi fosse successo. Cascai dalle nuvole perché ero convinto che quel giorno il mio turno cominciasse a pomeriggio. Per questo ero rimasto a dormire. E in sogno ero stato in posti mai visti prima, che presto o tardi visiteremo.
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