Tante sono le maniere di attraversare il lungo Stivale Italiano e le migliaia di chilometri di costa. Macinare strada sull’A14 è come accarezzane il dorso più esterno, correre sul filo di terra che guarda più ad Est, ricalcare i suoi contorni più orientali.
Se la vettura sulla quale viaggiamo fosse il suo polpastrello, Gulliver capirebbe quanto mutevole sia la pelle di questo scarponcino di terra.
Strofinando le dita dalla Romagna in giù, tasterebbe il velluto di quell’immenso prato che è il Piano Padano per poi avvertire i gozzi dei rilievi di Marche e Abruzzo.
In effetti, il viaggio lungo questa importante bisettrice è una sequenza ravvicinata di microcosmi dove sventola sempre e comunque il Tricolore.
Non passano neanche quattro ore e siamo nell’androne delle Puglie, il Parco Nazionale del Gargano ci dà il benvenuto.
È una scorza abbronzata quella di questi luoghi, macchiata di terra brulla dove non inforestata da un carico ed austero verde di boschi secolari.
Il Gargano si presenta così, come un oste che non ama formalismi superflui e non pecca di piaggeria verso l’ospite. Probabilmente non conosce compromessi, non gli importa di piacere o meno e, come un impettito padrone di casa con le braccia ad anfora lungo i fianchi, scruta il turista mettendolo di fronte ad una scelta: prendere o lasciare.
L’orizzonte aspro e il casello ancora dietro le spalle forse, a primo acchito, suggerirebbero la seconda opzione.
Noi proseguiamo per la nostra strada e puntiamo in direzione della costa. Tra uliveti a dismisura e le distese lacuali di Lesina e Varano, il panorama di cui godiamo è scarno di tracce umane. Ma all’altezza di Vico, il contesto cambia repentinamente e imbocchiamo il bordo dell’Adriatico fino a Peschici, dove soggiorneremo.
Questo antico borgo marinaro deve il suo nome al popolo di slavi che lo fondò e che, tradotto nella loro lingua, starebbe a indicare la sabbia. A darne origine, secondo studi storici, furono infatti i dirimpettai dalmati, dalle cui acque Peschici risulta il punto più vicino dello Sperone Italiano.
Questa località, annoverata tra le più belle del Bel Paese, conta residenti effettivi per qualche migliaio di anime e si sviluppa in salita in un intreccio di vicoli e vicoletti ricavati in mezzo al prepotente candore delle case tipico delle Puglie.
In cima al candido abitato piastrellato da quegli sprazzi di maiolica azzurra che ne sottolineano ulteriormente le fattezze marinaresche, il grande porto appare ben avvolto dall’imponente braccio montuoso di Monte Pucci – Parco delle Ondine.
Calatici nelle viuzze peschiciane, respiriamo ossimori che rendono l’atmosfera unica e contraddittoria. Tante emozioni si abbattono sul viaggiatore che viene trascinato in un set dove si prendono per mano i “Com’era” con i “Com’era adesso”.
Cominciando dalle varie piazzette che, a queste latitudini, conservano ancora i contorni delle originarie “agora”, primordiali aggreganti sociali di ellenica importazione. A qualcuno sembrerà forse anacronistico, ma noi abbiamo apprezzato che, nell’era dei social network, drappelli di concittadini utilizzino questi spazi per conversare e scambiarsi saluti.
Anche questo angolo di Meridione insieme ad ogni esperienza di viaggio ci impartisce le sue lezioni di vita. Come quella di ringraziare l’esser nati nel benessere, quando siamo entrati nella sede di un presepe perenne. L’opera era infatti allestita all’interno dell’unica stanza ove una gentile anziana del posto visse la sua infanzia insieme ai suoi dieci fratelli e sorelle. Vi era inoltre esposta un’enorme quantità di oggettistica d’antiquariato appartenuta alla famiglia qui residente.
Ma tra strette e corte scalette esterne, soppalchi e terrazzini, balconcini addobbati a gerani e stirati come le tasche di una camicia bianca, odori di fritture che seducono anche i più attenti alla linea, in uno scenario che somiglia anche a quello della fiaba di Aladdin, Peschici ci infila ora un DJ set in un grazioso lounge bar, ora un concertino jazz ricavato in un quadratino di radura tra le sue casette imbiancate.
Il Castello bizantino che porta la firma di Federico II di Svevia, noto anche per altre architetture pugliesi, ospita una mostra sulla tortura. Non resistiamo alla tentazione e facciamo ingresso per curiosare. Si tratta di una folta rassegna sui principali strumenti di morte utilizzati durante la Santa Inquisizione e anche in momenti successivi contro rei macchiatisi di eresia o di altro tipo di crimini.
Sono oggetti di repertorio o frutto di fedeli ricostruzioni, tanto dettagliatamente didascalizzati da mischiare nell’osservatore un realistico senso di orrore e sconcerto.
Alla fine dell’angosciante tour, possiamo rasserenarci l’animo nel magnifico giardino del forte, dal quale si domina tutta la baia illuminata dalle luci delle case.
Abbiamo ancora una giornata e vogliamo spenderla per vedere tutto il meglio possibile che il Gargano può mostrarci. Un’escursione in barca è proprio ciò che fa al caso nostro. Levate le ancore prendiamo il largo e, uscendo dal porto di Peschici, il suo castello ci appare ancora più imponente della sera prima.
Ma l’incredibile bellezza della costa alla nostra destra, prende subito il sopravvento sui nostri sguardi ammaliati da una litoranea irsuta di distese di pino d’Aleppo sul cui verde vivo si sovrappone, come un tratto d’evidenziatore, l’accecante avorio delle sabbie.
L’imbarcazione ci permette di ammirare da vicino le falesie che compongono la scogliera, bianche come enormi pale di calce viva impalate nelle adamantine acque marine. Il fenomeno erosivo ha scavato nella pietra, dando origine ad anfratti che possono essere raggiunti solo per mare. Immutati e immacolati così come creati dalla natura, sono autentici dipinti appesi tra cielo e mare. Alcune di queste gole hanno perso il tetto, sono come enormi pentole di roccia scoperchiate ai cui bordi resistono pini agganciati anche a testa in giù, come fossero delle debordanti cime di rapa.
Sono numerose le grotte, ognuna con un nome anche convenzionale che i naviganti di zona le hanno attribuito per meglio ricordarle. Come quella “dell’amore”, che spesso sembra sia stata scelta per scambi di effusioni tra innamorati lontano da sguardi indiscreti e in un posto non convenzionale. Oppure quella “a campana”, con il diametro della volta gradualmente a restringersi, sapientemente modellato dal fiato del vento.
Siamo passati sotto un celebre Arco che ha fatto da sfondo allo spot di una famosa marca di cioccolatini, quello di San Felice, una mezza ciambella di pietra carsica inzuppata nel blu.
Abbiamo anche scoperto che esistono pomodori carnivori e crescono in mare. Fioriscono con le alte maree e diventano delle accese palle color fuoco.
Infine una veloce gita a Vieste, centro decisamente più esteso di Peschici e perla meritevole senz’altro di attenzione.
Al ritorno, un taglio interno nella Foresta Umbra, il cuore verde del Gargano, intatto polmone naturale, altra stupenda scoperta di questi territori.
Da queste parti trasuda un Sud orgoglioso, geloso conservatore delle sue tradizioni. Una terra che inizialmente tenta di disarcionarti mettendoti alla prova. Poi ti strizza i grandi occhi verdi come il suo mare e i suoi boschi e ti accompagna per mano tra i suoi innumerevoli incanti.
Sul finire ti lascia la voglia di tornarci un’altra volta.
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