L’Italia è il Paese dei campanili, dei borghi e anche degli strani nomi strani con i quali, talvolta, sono stati battezzati. Alle volte, il bizzarro nome di alcuni posti ha addirittura rappresentato la salvezza dal totale sconoscimento al quale sarebbero altrimenti destinati, quell’unico motivo per il quale essere in qualche modo ricordati o citati. Di stranezze toponomastiche non mancano neanche qui nel ravennate, dove oltre a Godo e Piangipane, suona particolare anche il nome di Bagnacavallo, città di cui si occuperà questo articolo.
Il toponimo di questa località accende anche la più arida immaginazione e non lascia perplessità su quale sia l’associazione mentale più diretta, che poi è anche il logo comunale: un cavallo che passeggia a pelo d’acqua.
Giusto per rimanere in tema di acque, qui la Romagna diventa “Bassa”, addirittura più bassa del livello del mare tanto che queste sono state definite “Terre Emerse”.
A questo proposito bisogna sottolineare che, un tempo, questa zona era compresa nella “Valle Padusa”, cioè il moderno “Delta del Po”, il “Padus” per i latini.
La subsidenza di questi terreni rispetto agli argini fluviali, impediva alle acque in scolo dai vicini monti di confluire regolarmente nei fiumi. Per questo motivo, dilagando, veniva a generare un enorme acquitrino che, una lenta opera di bonifica, portò poi ad asciugare per recuperare la terra sommersa che si vede oggi.
Si può quindi immaginare che un tempo questo pezzo d’Italia era come un arcipelago di minuscoli atolli incastonato tra il Mar Adriatico e la restante attuale Emilia Romagna.
A grandi linee, questo era lo scenario almeno fino all’Ottocento, quando era addirittura in voga il mestiere del traghettatore, cioè l’incaricato dei trasporti su acqua da queste parti volgarmente detto “passatore”, come il tal Girolamo Pelloni di Boncellino. In virtù dell’attività svolta dal padre, Il figlio Stefano sarà conosciuto come “il Passatore”, autore di memorabili gesta che la memoria popolare dibatterà collocandole al limite tra un “bandito del popolo” e uno spietato “brigante” autore di delitti efferati. Il Pascoli, suo illustre conterraneo, gli dedicherà alcuni versi nella sua poesia “Romagna”.
Quindi, un ambiente tuttora piuttosto umido, derivato da quelli che furono pezzi di terra a fior d’acqua in un enorme stagno e dove si pensa ci fosse cresciuta una sconfinata e fitta foresta planiziale quasi impenetrabile, la “Selva Litana” o “Magnum Forestum” che il re longobardo Liutprando regalò al vescovo di Faenza nel 743. Queste origini alluvionali hanno reso fertile il terreno di queste zone e questo giustifica la loro forte vocazione agricola e le abbondanti coltivazioni ortofrutticole.
Fatte queste premesse, Bagnacavallo è un nucleo di 15.000 abitanti circa ed è distante circa 20 chilometri da Ravenna, una trentina da Forlì, 15 chilometri da Faenza e poco più di 50 da Bologna. La posizione è strategicamente vantaggiosa perché lo colloca vicino all’asse A14, alla via Emilia, ai maggiori centri ed è anche toccato dall’antica San Vitale e dalla via Adriatica “Reale”. Per queste ragioni è spesso un’affollata intersezione soprattutto nelle ore mattutine.
Probabilmente è il più vetusto tra gli abitati della Bassa ed esisteva già ai tempi dei Romani con il nome originario di “Castrum Tiberiacum”, tipico fortilizio militare che l’esercito erigeva per contrastare e difendere l’impero dalle incursioni dei Longobardi, assestati dalla sponda opposta del Po.
Da qui nacque una delle leggende sul nome di questa località, secondo la quale “Tiberiacum” deriva dall’imperatore Tiberio, che in rassegna da queste parti, vide lo scalcinato ronzino sul quale era in sella uscire da un pantano e trasformarsi in uno scattante stallone.
Comunque, mitologia a parte, l’origine del nome deriva quasi certamente dal fatto che l’agglomerato urbano fosse raggiungibile solo guadando il Senio, cioè inzuppando le zampe del quadrupede nelle sue acque.
Da “Porta Mazzini”, si accede al nucleo storico di Bagnacavallo percorrendo a piedi due filoni di porticati dove si respira un bel passato tra le vetrine degli svariati esercizi commerciali. La piazza principale è un salottino dall’aria decisamente medievale, spaziosa il giusto, dove svetta l’imponente campanile perfettamente ristrutturato. Qui sorge inoltre il settecentesco presidio comunale, dai pregiati e regali interni, costruito sulle ceneri del fu “Palazzo Brandolini”, famiglia di notabili del luogo a cui appartenne il noto capitano di ventura Tiberto.
Accanto, nella centralissima Piazza della Libertà in mezzo alla quale si erge una stele celebrativa ai caduti, siede il “Goldoni”, teatro di metà Ottocento così chiamato in onore al grande commediografo Carlo, il cui padre proprio qui esercitò la professione di medico.
Ma c’è ancora un altro tesoro storico da scoprire nel cuore di questa cittadina romagnola: “Piazza Nuova”, gioiello architettonico circolare e adeguatamente porticato, progettato per ospitare i mercati del XVIII sec. su di un pavimento sapientemente ciottolato.
Qui, immersi in una suggestiva atmosfera fuori dal tempo, seduti al tavolino di uno tra i tanti graziosi localini, si può sorseggiare un buon calice di “Burson”, vanto enologico locale, pluripremiato rosso rampollo della stirpe dei Sangiovese.
Questo vitigno autoctono fu scoperto grazie ad un’intuizione di un viticoltore del posto, alias “Burson” dal quale, appunto, prese la denominazione
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Probabilmente gli ultimi giorni di settembre potrebbero rappresentare il periodo ideale per una visita a Bagnacavallo, in occasione dei festeggiamenti al patrono San Michele che richiamano una moltitudine di gente e durante i quali viene allestita un’enorme tavolata a cielo aperto con i piatti forti della cucina romagnola.
E dopo cappelletti e piadine, sarà possibile addolcirsi la bocca con un pezzo di “dolce di San Michele”, rarità gastronomica sfornata appositamente in edizione straordinaria solo per la ricorrenza.
Insomma, un salto a Bagnacavallo per dei bei spunti storici e anche per degli ottimi spuntini.
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